Dopo la nostra conferenza stampa, una riflessione di Barbara Gallo,docente scuola secondaria – Archivio Pace e Disarmo Roma
“Se non si radica una concezione alternativa e se non si cerca in quella prospettiva il nuovo benessere, nessun singolo provvedimento, per quanto razionale, sarà al riparo dall’essere ostinatamente osteggiato, eluso o semplicemente disatteso.” Alexander Langer
Il 21 maggio si è svolta, presso la Camera dei Deputati di Roma la Conferenza, organizzata dal tavolo interassociativo Saltamuri, per chiedere il riconoscimento della cittadinanza italiana, e perciò europea, a tutte le bambine e i bambini non italiani nati o presenti in Italia, che frequentano la scuola italiana.
Il Tavolo, nato a settembre del 2018 e ora costituito da oltre 130 enti e associazioni, ha l’obiettivo di contrastare le molte forme di discriminazioni presenti nel nostro Paese e una crescente cultura della stigmatizzazione che non risparmia nemmeno i bambini.
Si assiste oggi, a livello mondiale, a una preoccupante regressione della civiltà democratica che mette a dura prova le faticose conquiste sociali e liberali degli ultimi decenni, sostituiti, al contrario, da un crescente clima di intolleranza.
Il Governo italiano, al cui interno affiorano quotidianamente sterili polemiche e diatribe interne, rischia di infliggere danni alle istituzioni che si impegnano a sostenere la democrazia.
Il mondo della scuola è uno degli ambienti sociali e culturali che al momento subisce in modo particolare l’influsso negativo delle dichiarazioni sovraniste, dell’enfasi sulla sicurezza e sul pericolo che viene da chi è lontano da noi per lingua, cultura e religione. La scuola, per sua definizione, nasce invece come un luogo di incontro e di accoglienza, dove il ruolo degli insegnanti è quello di preparare giovani vite a diventare futuri cittadini responsabili e consapevoli dei propri diritti.
L’attuale prevalente narrazione politica, aiutata anche dai canali di informazione, risulta faziosa, alimentando la pericolosa convinzione che possano esistere cittadini che godono, in maniera differente, dei diritti sanciti non solo dalla Costituzione italiana, ma anche dai Trattati internazionali. Come sempre accade sono proprio le fasce più deboli della popolazione che subiscono le conseguenze più dure di tali scelte politiche.
I bambini nati al di fuori dei confini italiani, ma venuti nel nostro paese in minore età, non solo subiscono il trauma del distacco dalla propria terra, trovandosi a vivere in un luogo che non hanno scelto, ma devono imparare velocemente ad adattarsi ad un ambiente per loro del tutto estraneo, imparare una nuova lingua e confrontarsi con tradizioni e abitudini di vita ignote. Ad oggi la legge italiana, invece di proteggere e adottare misure e politiche di inclusione per questi minori, li tratta da “cittadini di seconda classe”.
Per questo motivo il Tavolo Saltamuri, chiede con forza la modifica della legge 91/1992 sul diritto di cittadinanza, affinchè i giovani che vivono, studiano e lavorano nel nostro paese non debbano sentirsi stranieri nel nostro Paese. Ci sono state numerose proposte di modifica della legge ma, nonostante si siano avvicendati nel tempo molti governi, nulla è cambiato. Secondo i dati dell’UNICEF ci sono 800.000 ragazzi che non hanno la cittadinanza italiana e che vivono, sulla propria pelle, le disuguaglianze non solo all’interno delle scuole ma nella loro esistenza quotidiana.
La scuola rappresenta una tappa fondamentale per mettere in pratica politiche inclusive, dove il lontano ed il diverso non devono rappresentare né un pericolo, né una minaccia, bensì una ricchezza.
Solo attraverso il confronto di lingue, culture e tradizioni differenti si possono costruire le basi di un paese democratico. È necessario invertire al più presto questa pericolosa rotta, che porta alla costruzione di barriere sociali, fisiche e culturali attraverso una maggiore sensibilizzazione della politica, dei media e della società civile.
L’impegno, quindi, non riguarda esclusivamente il mondo dei docenti, ma tutti noi cittadini che dobbiamo dare voce e parola a coloro che ne sono stati deprivati, gli invisibili privi di mezzi e strumenti per combattere per i loro diritti.
Ignorare tali discriminazioni è grave tanto quanto metterle in atto, poiché l’impegno civile è una responsabilità che appartiene a tutti e riguarda le scelte che mettiamo in pratica ogni giorno.
Come diceva Eleanor Roosevelt: “Dove inizia il rispetto dei diritti umani? In luoghi vicino alle nostre case, in luoghi così piccoli che non possiamo trovarli su una mappa geografica. Eppure questi luoghi sono il nostro mondo, la scuola, l’università, la fabbrica o l’ufficio dove noi lavoriamo. Sono questi i luoghi in cui ogni donna, uomo, bambino cerca l’uguaglianza di opportunità e di dignità senza discriminazioni. Finché questi diritti non avranno peso in tali contesti, non avranno peso e valore da nessun’altra parte”.